Chernobyl, tragedia da non dimenticare

IL QUARTO D'ORA ACCADEMICO
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Chernobyl, quel 26 aprile 1986

di Francesca Lomastro

Riusciamo a dimenticare per un attimo il Covid-19 e lo stravolgimento che ha portato nella nostra vita, nella vita delle persone di quasi tutto il mondo? Pochi giorni fa era il 26 aprile. L’anniversario di un disastro che pure ci chiuse in casa, ci vietò di far giocare i bambini all’aperto, oltre che di bere il latte e di mangiare i prodotti dei nostri orti. Anche allora c’era un nemico invisibile che fece il giro del mondo, seminando un numero di morti per tumori e altre malattie che non conosceremo mai.

Di Chernobyl si è parlato di recente per la miniserie prodotta per Sky e HBO, una ricostruzione assolutamente misurata, nulla di spettacolare e per questo davvero angosciante. Vale la pena di vederla, sapendo però che, andati a dormire, sarà difficile prendere sonno.

Ma per il resto di Chernobyl non si parla più. Ci hanno detto che quell’incidente era irripetibile, perché causato da una incredibile catena di incompetenze a livello dei vertici di quella che era allora l’Unione sovietica edi irresponsabilità a livello dei dirigenti della centrale atomica. E che i ritardi con cui se  ne diede notizia al mondo e soprattutto alla popolazione ucraina e bielorussa furono dovuti alla logica di un sistema politico che non prevedeva la comunicazione degli errori. E invece nel 2011 c’è stata Fukushima. E anche delle conseguenze di quell’incidente sappiamo molto poco.

Qual è la situazione oggi? Leggiamo in un libro recente dell’ucraino Serhii Plokhy, che dirige l’Ukrainian Research Institut di Harvard, Chernobyl. History of a Tragedy, libro dedicato “Ai bambini dell’era nucleare”:

“Nell’aprile del 2016, quando il mondo ricordava il trentesimo anniversario del disastro, c’era la tentazione di tirare un sospiro di sollievo. Il dimezzamento del cesio-137, uno dei più dannosi nuclidi rilasciati durante l’incidente, è di circa 30 anni. È l’isotopo più longevo del cesio che può colpire il corpo umano per esposizione e per ingestione. Altri isotopi pericolosi presenti nel disastro hanno passato da tempo il loro stadio di dimezzamento: lo iodio-131 dopo 8 giorni, il cesio-134 dopo due anni. Il cesio-137 è l’ultimo di questo trio mortale di isotopi. Ma l’impatto dannoso dell’incidente è ancora ben lontano dall’essere finito. Con i test che rilevano che il cesio-137 attorno a Chernobyl non sta decadendo così velocemente come ci si augurava, gli scienziati credono che l’isotopo continuerà a danneggiare l’ambiente almeno per i prossimi 180 anni, il tempo necessario alla metà del cesio per essere eliminato dall’area contaminata attraverso gli agenti atmosferici e la migrazione. Anche altri radionuclidi resteranno nella regione per molto tempo. L’emivita del plutonio-239, tracce del quale sono state trovate persino in Svezia, è di 24.000 anni.” (p.342-343)

In Ucraina un sesto degli adulti dichiara di avere problemi di salute, una percentuale significativamente più alta che nei paesi vicini. Non sappiamo quanti siano stati i casi in più di quelli registrati nei paesi vicini di leucemie e tumori alla tiroide,  alterazioni agli organi interni, danni a tutti gli altri sistemi soprattutto nei bambini. Ufficialmente, anche da parte del governo ucraino, le conseguenze sono state assai minori di quanto si temeva. Ma non è un parere condiviso da tutti, non dal prof. Yuri Bandazhevskiy, medico e ricercatore bielorusso, che da anni studia gli effetti sulla popolazione delle zone contaminate. Una sua ricerca in Ucraina, sostenuta dall’UE, è arrivata alla conclusione che i danni genetici prodotti da Chernobyl nei bambini sono trasmissibili e gravi.

Non  sappiamo a chi credere. Sappiamo però che l’energia atomica è un argomento difficile da trattare. Lo è per il governo ucraino che ha dato avvio a Chernobyl ad un progetto per una mega centrale ad energia solare, ma che ha sul proprio territorio nella regione di Zaporizhia anche la centrale nucleare più grande d’Europa, dove sono in funzione 6 reattori, dei quali 5 hanno più di 30 anni. L’Ucraina ha bisogno di energia propria per non essere presa per la gola dalla Russia, che le fornisce il suo gas, ma che le ha sottratto la Crimea nel 2014 e che continua la guerra nel Donbass con il suo esercito. E quella centrale produce un quinto dell’energia totale prodotta nel Paese. E l’energia atomica è difficile da trattare anche per l’OMS, che ha rapporti anche con l’AIEA, l’agenzia internazionale per l’energia atomica,  espressione soprattutto dei Paesi produttori di energia nucleare a scopo pacifico, ma anche militare.

Dunque non possiamo e non dobbiamo dimenticare. Non dobbiamo dimenticare quello che è successo a Chernobyl e non dobbiamo illuderci che la questione sia chiusa. Non solo per il plutonio e la sua emivita, ma per il materiale radioattivo che è ancora nelle viscere del reattore danneggiato. Sta lì e nessuno può neutralizzarlo. È un mostro che dorme.
Quasi ogni anno poi ci sono gli incendi che si alimentano dal sottobosco cresciuto nel tempo. Ardono alberi e cespugli che conservano dentro di sé gli elementi radioattivi dispersi nell’aria e nel suolo. Gli incendi disperdono con il vento la cenere radioattiva e i livelli di radioattività si alzano abbastanza da essere rilevati anche a migliaia  di chilometri di distanza. In questi giorni ci sono stati ampi incendi nella zona di esclusione. Hanno impegnato centinaia e centinaia di pompieri, che non riuscivano però a domarlo. Poi è arrivata la pioggia e il fuoco non è arrivato a Pripyat e ai depositi di scorie. Il pericolo è stato scongiurato. Fino alla prossima volta…