Principio di dignità: il cerchio e la linea

IL QUARTO D'ORA ACCADEMICO
#iorestoacasa

di Francesco Donato Busnelli
Professore emerito della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa

Il cerchio e la linea. Le altalenanti sorti del principio di dignità della persona umana.

1.- Agli inizi del secondo decennio del secolo “nuovo”, Stefano Rodotà fissava il punto di “apertura” del cerchio, annunciando con l’autorevolezza dell’illustre politico del diritto “la rivoluzione della dignità”: vero “lascito del costituzionalismo del dopoguerra, essa apre un tempo nuovo, apre l’era del rapporto tra persona, scienza, tecnologia”1. Affiorava così “un’altra radice culturale del riferimento alla dignità”, una radice laica che “consiste nello spostamento d’attenzione dalla soggettività astratta alla concretezza della persona, immersa nel fluire dei rapporti reali”2.
Alla fine di questo stesso decennio, Vincenzo Scalisi, civilista emerito (recentemente scomparso) della prestigiosa “scuola giuridica di Messina”, “chiude” il cerchio riuscendo a “porre finalmente su un piano realistico e concreto, dinamico e mobile, il problema del contenuto del principio di dignità”, destinato a “ergersi a nuovo criterio di misura del mutamento e delle trasformazioni sociali, a vera e propria ancora di salvataggio dell’umanità di fronte alle nuove sfide e alle insidie della postmodernità”3.

2.- I dieci anni nel frattempo trascorsi avevano messo a dura prova la “tenuta” del cerchio. Le discussioni sulla “utilità” del principio della dignità umana – “is it a useful concept in bioethics or a mere slogan that camouflages unconvining arguments?”4 - erano già iniziate in terra americana, ove ”in contrast to continental Europe human dignity has not been a powerful idea”5. La scintilla che aveva acceso il fuoco del dibattito era stato il “caso Macklin”, dal nome dell’autrice di un breve saggio apparso su una rivista medica dal titolo provocatorio: “Dignity is a useless concept in medical ethics et can be eliminated without any loss of contents”6. La provocazione muoveva da una pregiudiziale critica di ambiguità del concetto per poi evidenziare, in profondità, i due fondamentali aspetti della sua asserita “inutilità”: con l’avvento delle nuove tecnologie esso cessa di avere un preciso significato “because it simply means ‘autonomy’ ”; la dignità umana è ormai sempre più riducibile a un “Trojan horse for religion”7 .
Le dispute bioetiche sul “caso Macklin” avevano ben presto varcato l’oceano incontrando in Europa, e in particolare in Italia, un diffuso atteggiamento favorevole a recepire, in modo più o meno approfondito, le critiche appena evidenziate.

3.- Non è stata impresa facile, per Vincenzo Scalisi, “chiudere il cerchio” senza attardarsi in sterili polemiche o in saccenti disquisizioni ma riuscendo a mantenere integra la fedeltà a un metodo di ricerca che contraddistingue “la strenua sensibilità metodologica e l’inconfondibile e unitario stile scientifico della scuola di Messina”8. Ancora più difficile, e coraggioso, è stato l’impegno di tracciare a questo punto una “linea” proiettata verso il futuro. Lo ha fatto cimentandosi in un’approfondita ricerca del “valore ermeneutico della dignità”, intesa come espressione pregnante del principio personalista enunciato dalla Costituzione. Ed è appunto assumendo tale valore “a criterio di governo del processo ermeneutico” che il giudice è chiamato a “cogliere e fissare la regola il più possibile aderente e appropriata al concreto e specifico fatto della vita che reclama tutela”.
Vincenzo Scalisi non si nasconde “il rischio inevitabile di incontrollate e arbitrarie derive soggettivistiche” da parte dell’interprete nell’esercizio della sua “funzione inventiva e decidente della norma applicabile”; riconosce “la necessità di vincolare il processo ermeneutico a una rigorosa metodica di principi, canoni, criteri e moduli valutativi; ma aggiunge che “se il metodo è necessario, altrettanto imprescindibile è il rispetto, da parte del giudice-interprete, del dovere etico della verità, inteso come dovere di ricerca della regola ‘giusta’, della regola cioè più conveniente e adatta”9.

4.- Prende così consistenza il progetto di una “ermeneutica della dignità”. La sua originalità consiste nel delineare un ardimentoso quanto finemente argomentato “processo di equilibrio e di sintesi tra autodeterminazione e eterodeterminazione”10, tra due postulati assunti come “criteri guida”.
Il primo di essi viene ravvisato nel “dover essere della dignità, quanto meno ai fini del ‘sin qui e non oltre’, essenziale per scongiurare il rischio di valutazioni affrettate, se non addirittura arbitrarie”: “a una concezione soggettiva e individualista della dignità legata ai concetti di autonomia e libertà, tipica della tradizione costituzionale americana … sembra emergere nel contesto europeo una visione diversa, oggettiva, in funzione, all’opposto, di limite proprio all’autodeterminazione individuale e alla libertà contrattuale”11.
Al tempo stesso, il contenuto della dignità, in quanto socialmente relazionale (in rapporto sia al suo titolare che agli altri cointeressati) … è necessariamente determinabile soltanto con procedimento a posteriori, secondo una prospettiva storico-realistica muovente dal basso dell’organizzazione giuridica della vita sociale, così da liberare l’applicazione nei singoli casi dal condizionamento di precostituiti stereotipi e/o standards valutativi”12. Questo è l’altro “criterio guida”.
Il progetto così impostato non si nasconde i rischi, opposti, a cui la relativa sperimentazione va incontro, ma si sforza di affrontarli.
C’è per un verso da chiedersi se sussista il rischio di dover riconoscere, in concreto, che “il principio della dignità … non può che passare attraverso il più ampio riconoscimento dell’autodeterminazione del singolo, non coercibile da ingerenze, impedimenti o imposizioni provenienti dall’esterno” senza che questo assunto finisca con il risultare “davvero eccessivo, in quanto ubbidiente ai canoni esclusivi di un’etica utilitaristica”. La risposta è categorica. “In realtà non è così. Il principio di dignità nel mentre esalta l’autodeterminazione individuale al tempo stesso la limita: si deve evitare che ognuno di noi possa trasformarsi in un potenziale tiranno di sé stesso”13.
C’è in senso opposto “il rischio che il dover essere della dignità, stante l’ampio margine di manovra che esso consente al giudice, possa nelle sue mani trasformarsi da stella polare che illumina il sentiero a schermo oscurante dietro il quale si celano intolleranze culturali e/o atteggiamenti di prevaricazione”. Qui il rischio c’è, e “resta sempre in agguato.
Per farvi fronte soccorrono due indicazioni di metodo. “Si tratta anzitutto di porre in essere ogni più appropriata metodologia di controllo del suo operato”. E deve restare comunque fermo l’ammonimento a non deflettere dalla “necessaria fiducia che anche all’interprete va accordata come a ogni essere umano che abbia consapevolezza e responsabilità delle proprie azioni”14.

5.- Chiudendo il cerchio aperto da Stefano Rodotà, Vincenzo Scalisi traccia la linea di una vera e propria “rivoluzione postmoderna della dignità”, ove la dignità assume le sembianze di “vera e propria ancora di salvataggio dell’umanità, di fronte alle insidie e alle nuove sfide introdotte da “una incontenibile aggressività del mercato e da un pervasivo e sempre meno controllabile sviluppo tecnologico”15.

Note
1 S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Laterza, Bari, 2012, p. 184.
2 S. Rodotà, Perché laico, Laterza, Bari, 2009, p. 138.
3 V. Scalisi, Ermeneutica della dignità, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2018, pp. 10, 21.
4 A. Schulman, Bioethics and the Question of Human Dignity, in Human Dignity and Bioethics. Essays Commissioned by the President’s Council of Bioethics, Washington, D.C., 2008, p. 3.
5 L. Kass, Defending Human Dignity, in Human Dignity, cit., p. 297.
6 Ruth Macklin, Dignity is a Useless Concept, in British Medical Journal, CCCXXVII (2003), p. 1419 s.
7 D. Gelernter, The Irreducibly Religious Character of Human Dignity, in Human Dignity, cit., p. 387.
8 Il giudizio è di N. Irti, Scuole e figure del diritto civile, 2 ed., Giuffré, Milano, 2012, p. 383 s.
9 V. Scalisi, Ermeneutica, cit., p. 58 ss.
10 V. Scalisi, Ermeneutica, cit., p. 40. “E’ questa la vera sfida, da cui non può prescindere ogni serio dibattito intorno al principio di dignità”.
11 V. Scalisi, Ermeneutica, cit., pp. 33, 35 s.
12 V .Scalisi, Ermeneutica, cit., p. 28 ss.
13 V. Scalisi, Ermeneutica, cit., pp. 33 s., 38.
14 V. Scalisi, Ermeneutica, cit., p.107.
15 V. Scalisi, Ermeneutica, cit., p. 10.