Zanella e Vittoria, «sua prediletta scolara»

IL QUARTO D'ORA ACCADEMICO
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Zanella e la «sua prediletta scolara» Vittoria Aganoor

di Adriana Chemello
Università di Padova - Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari

Nella lucida e ben documentata biografia di Giacomo Zanella di Elizabeth Greenwood, pubblicata con i tipi della Neri Pozza nel 1990 (Vita di Giacomo Zanella, Vicenza Neri Pozza, 1990, pp. 302), ampio spazio viene dedicato allo Zanella educatore e alla sua tormentata carriera di insegnante che lo porterà nel dicembre 1866 alla cattedra di professore ordinario di Lettere italiane all’Università di Padova e, qualche anno dopo, all’elezione a Rettore Magnifico della Facoltà Filosofica, il 17 novembre 1871. Attenta considerazione la biografa dimostra nei confronti della funzione di «istitutore privato» assolta da Zanella verso una schiera di giovani donne dell’aristocrazia e della ricca borghesia veneta: da Angelina Lampertico ad Andriana Zon Marcello, da Lucrezia Marzollo a Elisa de' Muri, da Alinda Brunamonti ad Adele Bergamini. A costoro il professore di lettere italiane impartiva lezioni di latino, alternava letture di poesia e di prosa dai classici latini fino ai moderni, le spronava alla pratica della scrittura, suggerendo loro esercizi di composizioni in versi, educando così le loro anime al gusto per l’arte e all’amore per il bello.

Vittoria Aganoor

In questo orizzonte si colloca anche l’incontro e la lunga consuetudine con le cinque sorelle Aganoor e la loro famiglia. La frequentazione di casa Aganoor coincide solo parzialmente con gli anni del soggiorno patavino di Zanella. Si sa che egli subentrò ad Andrea Maffei (1798-1885), quale maestro ed “istitutore” delle sorelle Aganoor, quando quest’ultimo si allontanò da Padova. Ma è la stessa Vittoria, la più giovane delle sorelle, in una lettera a Fedele Lampertico, a fornire precisi indizi per datare gli esordi della consuetudine di affetti e di pensieri: «Lo Zanella era amico di nostri comuni amici; la Mamma desiderò ci divenisse maestro, e fu nel ’69 che stringemmo più strette relazioni di studio e d’amicizia».
Le attestazioni di affetto sincero e profondo verso l’abate Zanella, il legame quasi parentale coltivato e consolidato ben oltre l’esperienza patavina dei primi anni ’70, trovano speculare riscontro nelle lettere di Vittoria che dal 1876 da Napoli, dove la famiglia si era trasferita, risalendo la dorsale appenninica arrivano a lambire i colli Berici, indirizzate al «caro» e «buono» professore. Anche la madre Giuseppina Pacini Aganoor confidava spesso i suoi crucci al «professore e amico carissimo» Giacomo Zanella.
Lo sforzo per tradurre in parole l’intensità dei sentimenti, per dar forma all’impeto del cuore, per significare la stima e la gratitudine verso un amico percepito come uno di famiglia, è il leit motiv delle lettere di Vittoria Aganoor: «Ma quando io le scrivo dimentico per un momento il letterato e il poeta illustre e non ricordo che il suo cuore» (V. Aganoor, Lettere a Giacomo Zanella (1876-1888), a cura di A. Chemello, Mirano-Venezia, Eidos, 1996).
La innocente spavalderia giovanile di Vittoria trapela dai disegni che abbelliscono le lettere del primo periodo. Tratteggiate in punta di china, le piccole prove di abilità grafica vorrebbero strappare un sorriso benevolo e condiscendente all'anziano precettore. Le lettere del novembre-dicembre 1881, per esempio, illustrano l'artificio della diminutio personae, realizzato attraverso la figura di un ranocchio: il burbero e un po' arcigno destinatario intimidisce la giovane allieva che finisce per occultarsi in un timido ranocchio. Mentre i bonari rimproveri del maestro per la grafia spesso illeggibile dell’allieva offrono lo spunto per fantasiose similitudini, punteggiate di vivaci reminiscenze dantesche.

Lettera da Napoli, luglio 1881

Lettera da Napoli, 7 novembre 1881

Le lettere indirizzate all’abate Zanella diventano, con il procedere degli anni, sempre più confidenziali: al tono scherzoso e ludico della prima giovinezza subentra una riflessività di pensiero. Se le prime lettere descrivono una quotidianità spensierata e un po’ mondana, con il passare degli anni la scrittura si fa più introspettiva. Vittoria s’interroga sul significato dell’esistere, si confronta con il problema della morte, elabora una propria filosofia della vita. Il tono è pertanto grave e severo e chi legge ha la sensazione di sfogliare un «diario intimo» che diventa un «barometro dell’anima». Il materiale autobiografico preme con forza dal fondo della scrittura e tradisce la lotta impari tra la prostrazione dell’anima e l’orgoglioso ritegno del carattere. Sono le stagioni del cuore a scandire il tempo perché esso esiste solo nell’anima che sente e ascolta. Molte lettere diventano una segreta scrittura autobiografica che mette in scena un piccolo teatro della memoria nello sforzo di superare le aporie del presente.
Scelgo qui di presentare due lettere che non appartengono al carteggio tra Zanella e Vittoria Aganoor ma che ci forniscono due diverse chiavi di accesso per meglio comprenderne la profondità.

La prima è una lettera di Zanella indirizzata a Vittoria per accompagnare un «dono prezioso» alla giovane allieva. Nel febbraio del 1872, il poeta aveva congedato un componimento dedicato Alla contessa Giuseppina Aganoor, sottotitolato Ritratti, e prima di consegnarlo alla tipografia Prosperini di Padova per la stampa, lo aveva inviato all'amico Andrea Maffei, accompagnandolo con la seguente nota: «Vi mando questi profili del carattere morale delle giovinette Aganoor». Le cinque strofe erano dedicate nell’ordine alle cinque sorelle, e l’ultima era per Vittoria:

Vittoria, a te, quando cadean le nevi
E tu pensosa al davanzal sedevi
L'Aurora diede un bacio, e l'Oriente,
Culla de' tuoi, t'irradiò la mente.
Sogni le palme; il suono odi del Gange
Che de' pagòdi alle scalee si frange;
Sogni il deserto; e dell'ardente clima
Pregna intanto dal cor t’esce la rima.

Profilo del carattere morale e ritratto solare della giovane padovana, allora diciassettenne, di cui il poeta coglie in rapidi tratti («breve segno» l'aveva definito in esordio) l'essenza dell'anima: l'epiteto «pensosa» di ascendenza leopardiana; la luce orientale a connotare le radici armene; il ripetuto accenno al sogno, ad un'attività onirica proiettata verso l'esotico oriente (le palme, il Gange, le pagode) per rafforzare il sigillo dell'origine; l'allusione al clima, anch'esso correlato all'Oriente e alla sensibilità meteoropatica della giovane Vittoria e, in clausola, il richiamo all'attività poetica, alla rima che reca impresse le marche dell'«ardente clima». Così la «pensosa» e riflessiva Vittoria appare al poeta vicentino dopo tre anni di frequentazione di casa Aganoor.
Nel marzo 1872, un mese più tardi avrebbe inviato a Vittoria la seguente lettera:

Ottima e cara Vittoria,                                                                  Padova 14 marzo 1872

Affido alla sua custodia questo prezioso scrittarello di Giacomo Leopardi. È di mano del ministro di casa Vito Frati, che dopo avere lungamente e lealmente servito casa Leopardi, non ebbe degno guiderdone dai nipoti di Giacomo. A me donollo chi fu per qualche anno aio e bibliotecario in casa Leopardi. Non occorre dire che lo scritto è inedito. Di Lei aff.mo
                                                                                          Giacomo Zanella

   All’ottima giovinetta / Vittoria Aganoor / Padova

Il maestro fa dono all’«ottima giovinetta» - a ridosso del suo diciassettesimo compleanno – di un «prezioso scrittarello» di Giacomo Leopardi, non autografo ma inedito, proveniente da un altro prezioso «scartafaccio» che qualche decennio più tardi sarebbe stato reso noto con il titolo di Zibaldone di pensieri. Tralascio qui le questioni di carattere filologico e le congetture sulla mano del copista e di chi trasmise lo scrittarello dalla biblioteca di casa Leopardi all’abate vicentino, per le quali rinvio al lavoro di Loretta Marcon (L’“inedito scrittarello” dello Zibaldone, Napoli, La scuola di Pitagora editrice, 2019), per evidenziare la forte valenza simbolica di questa lettera che lascia intendere l’intensità della relazione magistrale e la profonda umanità del maestro. Da notare che lo «scrittarello» apografo è intitolato Pensieri sulle Donne.

Lettera di Giacomo Zanella, 14 marzo 1872

Dopo le parole in rima che l’abate aveva indirizzato alla giovane e promettente allieva padovana, la lettera con l’annesso «scrittarello» sembra voler sigillare, nel segno della poesia, un sodalizio intellettuale e d’anima.

La profondità del legame con l’abate Zanella e il carattere intrinseco della loro corrispondenza si appalesano a Vittoria quando scopre un’intrusione non autorizzata tra quei fogli a cui con calligrafia fittissima ha affidato i segreti della sua anima.
Siamo nel 1892, Zanella è morto da quattro anni e il Senatore Lampertico, suo concittadino e amico, ne sta approntando la biografia che uscirà nel 1895 con il titolo Giacomo Zanella – Ricordi.
Lampertico, nell’intento di ricostruire il profilo biografico dell’amico poeta, ottiene dal fratello Giuseppe Zanella di consultare le lettere di coloro che erano stati in corrispondenza con il poeta e comincia a frugare tra quelle «carte private», per ricavarne schegge e frammenti utili alla biografia. Richiesta di consegnare le lettere di Zanella in suo possesso, Vittoria non nasconde il suo disappunto ed esprime una ferma contrarietà al progetto. Nel mettere mano a quella corrispondenza, Vittoria ripercorre i lunghi anni delle conversazioni a distanza con l’«amatissimo amico e maestro».
Prova un legittimo risentimento nei confronti di Lampertico per essersi intromesso in una corrispondenza privata, per aver violato i suoi sentimenti filiali ed amicali, invadendo grossolanamente i recinti del privato. La lettera del 26 settembre 1892 non lascia possibilità di replica e di fatto rappresenta l’epilogo del carteggio con il Senatore vicentino:

Ella sembra scordarsi egregio Senatore che quelle lettere erano di sorelle, di figlie di amiche intimissime a un fratello, a un padre, a un amico strettissimo che ci aveva conosciute bambine e col quale parlavamo (e quindi scrivevamo) con lo stesso abbandono, con la stessa fiducia con cui si fa un dialogo intimo, con un amico intimo. Molte segrete vicende di famiglia, molti pensieri e moti del cuore sono là dentro che non avremmo svelato a nessun altro che a Lui; dico allo Zanella1.

Nella comprensibile contrarietà di Vittoria a sapere svelata ad estranei la parte più segreta della sua anima, la lettera ci dà una discreta chiave di accesso per comprendere il valore di quella corrispondenza. Per una strana coincidenza, in quelle stesse settimane, Vittoria scrive una lunga lettera (tuttora inedita) a Enrico Nencioni dove ricorda con affettuosa riconoscenza la lezione di vita del suo «caro professore»:

Lo Zanella, sì, fu mio maestro fino dalla mia primissima infanzia; lo chiamavo «il professore» e lo facevo disperare perché non sapevo mai la lezione, e poi dicevo su, i verbi ch’egli mi faceva imparare a mente, sempre pensando ad altro e senza capirli. Così mi ricordo sempre che in quell’ode del Parini che comincia:

Torna a fiorir la rosa

Vi è una strofa che dice:

I crin, che in rete accolti
Lunga stagione ahi foro!
Sull’omero disciolti
Qual ruscelletto d’oro,
Forma attendon novella
D’artificiose anella.

Ora io, che badavo allora più al suono che ad altro, e che mandavo a mente la lezione magari facendo le scale a salti, quando venivano a dirmi che «il professore» era venuto, giunta a quel punto dell’ode dissi:

Forma attendòn novella
D’artificiose anella…

E tiravo innanzi spedita quando «il professore» m’interruppe chiedendomi severo «se capivo quel che andavo recitando». Altro che! risposi io (altro che! era il mio intercalare prediletto) – Bene, mi dica allora che cosa vuol dire: attendòn novella. – Una gran tenda (replicai pronta) una gran tenda… giovanile…. –

Cari cari ricordi di giovinezza! e caro amorevole maestro che ebbe tanta pazienza con me! debbo però dire che mi guastò un poco; egli era molto facile alla lode, e talora, per bontà d’animo e per cecità di affetto, trasmodava.. Così per un certo tempo, le confesso, che mi credetti davvero qualcosa di straordinario a furia di sentirmi dire quelle tante cose, e lo studio allora ne sofferse molto perché già quell’infatuamento giovanile m’avea dato alla testa e mi pareva ormai inutile far altre fatiche visto che tutto quel che scrivevo era oro colato. Quando rientrai in me stessa… avevo perduto molto tempo; lo Zanella allora era malato e d’un male di nervi che non gli consentiva più nessuna occupazione; dopo guarito non torno mai più come prima; divenne più severo e più giusto. Mi dedicò l’ultima edizione delle sue poesie2 (e questo non per giustizia naturalmente ma per bontà) e credo veramente d’esser stata la sua prediletta scolara.

NOTE
1 - Lettera di Vittoria Aganoor a Fedele Lampertico, Basalghelle 26 settembre 1892. Nel manoscritto «nessun altro» è sottolineato tre volte. Dopo questa lettera perentoria, ne troviamo un’altra dove Vittoria per resistere alle ulteriori richieste di Lampertico adotta la tattica del silenzio - «Io qui non ho pure una sola lettera del mio povero maestro» - e si schernisce con molto savoir faire dal farsi coinvolgere nell’impresa.
2 - Zanella le dedicò la quarta edizione delle sue Poesie, aggiungendo: «Vorrei che questo le fosse non solamente un ricordo; ma un invito a raccogliere e pubblicare i suoi lavori poetici di cui l’Italia ha già veduti tanti bei saggi». Cfr. G. Zanella, Poesie, Firenze, Successori Le Monnier, 1885.

[Desidero qui ringraziare i coniugi Aurora e Vincenzo Buontempo per avermi messo a disposizione la riproduzione della lettera di Zanella a Vittoria Aganoor del 14 marzo 1872 e la scansione della lettera di Vittoria Aganoor a Enrico Nencioni, entrambe conservate presso il loro archivio privato.]