Suoni nella notte al lago di Fimon

IL QUARTO D'ORA ACCADEMICO
#iorestoacasa

di Antonio Dal Lago
Conservatore del Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza

A causa di questa pandemia stiamo vivendo un momento difficile, ma bisogna avere fiducia nel futuro, coltivare la speranza ed essere pronti a ripartire. Musica, profumi e sapori dei germogli che la primavera continua generosamente a offrire sono lì, fuori, magari vicini, ma inaccessibili. La nuova stagione è arrivata e sta facendo il suo corso. Mi sta sfuggendo? No! È solo diverso il punto di osservazione. Quest'anno non sono protagonista, immerso nel suo passaggio, ma spettatore. La osservo dalla finestra e ascolto le sue novità, in attesa di riprendere a camminare liberamente, senza limiti di spazio e tempo.

Riporto alcuni appunti che ho scritto dopo un'escursione notturna al lago di Fimon l'anno prima del Coronavirus, aggiungendo un file di registrazione raccolto da Cristina Maselli.

MP3-Canto usignoli_Cristina

“E cominciano i concerti dei ranocchi che accosciati sui viscidi ventri, su isolette formate da ninfee e da ranuncoli d'acqua, gracidano queruli, con le teste in aria e le gole gonfie; blaterano, blaterano con pertinacia di malati nevrotici, o tratto tratto tacciono quasi obbedendo a cenni invisibili...
La campagna ascolta tacita. Nei silenzi si alzano armoniosi sospiri d'usignoli con inni al piacere trionfante.
Le rane ciarliere ripigliano le fragorose cantilene, ma spesso quando il buio è più fitto, attratte dalle fosforescenze di putridi tronchi penzolanti sull'acqua, s'accostano saltellando intorno a fantasmi che su alte e magre gambe, con lunghissimi colli, con penne luccicanti, appaiono immobili fra i canneti. Sono questi i pavoncelli di palude, veri pescatori che in agguato, con le lanterne a poppa, aspettano il momento propizio per saettare colpi di becco e trangugiare quante più possono delle curiose imprudenti. A queste è riservata sorte più crudele quando cadono in bocca alle bisce; allora nelle pause silenziose delle loro campagne se ne odono gemiti, mentre lentamente calano sempre più sepolte nelle fauci elastiche che le inghiottono.”

Queste parole di Paolo Lioy, tratte dal libro Storia naturale in campagna (1901), mi hanno ispirato a organizzare un'escursione notturna nei dintorni del lago di Fimon per conoscere questo luogo sotto un aspetto insolito. Una sera di fine maggio, con alcuni amici, mi sono messo in cammino lungo il lago; inoltrato nel bosco, rigorosamente in silenzio, procedo attento a cogliere ogni minino suono proveniente dall'ambiente, come recita un proverbio persiano, “Il giorno ha occhi. La notte ha orecchie”.

Ogni avventura è mossa da grande entusiasmo e, di conseguenza, l'inizio della camminata è sostenuto; l'incedere dei passi annuncia un ritmo veloce. Lo sfregare degli abiti, dato dal movimento atletico di braccia e gambe, produce un debole fruscio che fa sottofondo ai rumori più forti che arrivano da terra. Scarpe da trekking e scarponi, che avanzano su un percorso pedonale in ghiaia e terra battuta, creano: scricchiolii quando il piede calpesta il ghiaino, rumori ovattati se poggia su terreno compatto o striscia l'erba al bordo della pista pedonale.
Nell'attraversare il ponte di legno, le suole di gomma, più o meno elastica, annunciano il passaggio di chi indossa pesanti scarponi o più comode scarpe da trekking. Varcata la passerella, ritorna a farsi sentire lo scricchiolio della ghiaia.
Il gracidare delle rane, che arriva intenso dal lago e dai fossi che delimitano la campagna, smorza il rumore dei passi.
L'attenzione dei camminatori viene distratta dall'intensificarsi della luce intermittente delle lucciole, che invita a fermare i loro passi per ammirare lo spettacolo. La distribuzione dei punti luminosi marca nettamente l'area delle erbe incolte e dei fossati, rispetto alle monotone monoculture di mais che rimangono al buio.
Avvicinandosi agli alberi, il fruscio delle fronde si percepisce solo quando le rane concedono brevi pause.
Al coro delle rane e al frusciare delle chiome, si uniscono le percussioni delle suole delle scarpe che fanno suonare un nuovo strumento: l'asfalto. Allontanandosi dalla campagna il pesante battere degli scarponi viene smorzato solo dal rombo di qualche auto in transito.
All'imbocco del sentiero, in leggera salita, si entra nel bosco dove l'intensità luminosa si riduce notevolmente. L'irregolarità del terreno e le pupille degli occhi non ancora sufficientemente dilatate rallentano l'avanzata dei camminatori che ora procedono con passi incerti. L'andatura si fa lenta, qualche sasso smosso, ciuffi d'erba, rami e foglie secche; non sono ostacoli, ma nuovi strumenti che i piedi fanno suonare.
Il passaggio nei pressi di un'abitazione mette in allerta i cani, che con il loro abbaiare chiudono momentaneamente il concerto del bosco, proponendo una loro breve esibizione.
Dopo la fugace dimostrazione, ritorna la melodia del bosco arricchita dal frusciare delle foglie mosse da un leggero alito di vento.
Arrivati in quota, si esce dal buio che avvolge il bosco; lo sguardo si apre su un ampio prato che digrada leggermente verso il lago. Alle nostre spalle il bosco e, di fronte in basso il lago; dallo specchio d'acqua si innalza il nero versante boscoso; in alto le luci che segnano la linea delle strade e la presenza dei nuclei abitati, che si riflettono sul lago. A lato la vista si distende sulla pianura, chiusa in lontananza dal profilo delle montagne.
In questo posto, dove anche i rumori del traffico sono appena percepiti, è possibile esercitarsi nell'ascolto dei suoni in alta o bassa fedeltà, intese come sensibilità a cogliere con precisione la provenienza del suono che giunge all'orecchio.
Grilli, usignoli, rane, auto, moto, aerei, campane, qualche vocio, i nostri lenti movimenti. Sono molti i suoni che, grazie al silenzio, si riescono a udire; solo di alcuni riusciamo a cogliere con precisione la loro provenienza. È possibile individuare il punto preciso dove si trova un grillo quando canta da solo ma, se sono in molti a farlo nello stesso momento, la ricerca diventa difficile. L'insieme crea disturbo e confonde l'ascolto.
L'esercizio di ricerca dei solisti viene inavvertitamente interrotta dal rumore delle cerniere delle tasche di qualche zaino, che viene aperto per estrarre la borraccia.
Anche in questo caso, se è una sola tasca che si apre, è possibile individuare chi fischia gli orchestrali; se, invece sono molte, l'esercizio diventa difficile. Questo disturbo è un segnale che invita a riprendere il cammino.
All'abitato di Pianezze chiesa vecchia, nonostante l'ora un po' tarda, alcune luci accese indicano la presenza di vita nelle case; nessuna voce, nessun abbaiare di cani, qui il concerto è finito da tempo.
Si inizia a scendere: ancora un breve tratto di asfalto e si arriva ad una fontana. Ormai assuefatti, i camminatori non ascoltano più il rumore dei propri passi sull'asfalto. Eppure il calpestio in discesa è un rumore nuovo che si aggiunge all'elenco, perché il contatto con l'asfalto è più forte e il ritmo cambia.
L'acqua della fontana “se la canta e se la suona”, gorgoglia cadendo dalla sorgente, attraversa la vasca in silenzio e quando esce, scorrendo tra i sassi, riprende con un'altra musica.
Il procedere tra i sassi disseminati nella sconnessa discesa fa alzare il tono del borbottio di chi inciampa. Avvicinandosi al piano, termina anche il disagio e riprende l'attenzione verso la musica del bosco. Il canto degli usignoli inizia a fare il suo ingresso nell'orchestra, ma siamo ancora alle prove del concerto finale. Il passo accelera, favorito non tanto dalla leggera discesa e dal fondo regolare della carrareccia, ma anche dalla voglia di rientrare.
Nell'allontanarsi dal bosco, attraversando dei coltivi, ritorna di prepotenza il rumore dei passi che si trascinano stanchi. Il gruppo si sfilaccia ma, in prossimità del lago, un concerto di usignoli ricompatta il gruppo. Il gracidare delle rane, pure intenso come all'inizio del cammino, non viene colto. Si tratta di poca attenzione all'ascolto o del trionfo dei primi violini? Se molti ora prestano attenzione al virtuosismo degli usignoli che dominano la scena è tutta l'orchestra a essersi esibita alla perfezione.