La Prima Guerra Mondiale degli “altri”

IL QUARTO D'ORA ACCADEMICO
#iorestoacasa

di Lorenzo Renzi
Già docente all'Università di Padova

Cari amici,
per questo Quarto d’Ora Accademico (che bel titolo dato all’iniziativa!, qualcuno sa chi ha avuto l’idea?) ho scelto un aspetto che sembra minore, ma che credo non lo sia: quello delle lettere scritte dai soldati alle loro famiglie, alle fidanzate, agli amici. Ne ho dato una volta un primo piccolo ragguaglio proprio alla nostra Accademia due anni fa. Ma adesso voglio presentarvi l’aspetto più nuovo di questo tema, le lettere non dei soldati italiani, ma quelli di altri paesi.
È un paradosso infatti che della Prima Guerra Mondiale, che ha coinvolto tanti popoli, ogni paese si interessi quasi solo del suo. Per noi è stata solo la guerra italo-austriaca. Ma erano in guerra ben 33 paesi! Perfino dei nemici austriaci in genere ci interessa poco. In tanti romanzi e film, non si vedono proprio, vediamo le loro cannonate o qualche morto. Anche degli alleati ci si interessa poco, come se fossero rivali che ci vogliono togliere la scena. Quando sull’altopiano d’Asiago incontriamo i candidi cimiteri inglesi (ce ne sono cinque) ci meravigliamo che fossero là a dare una mano all’Italia, a scuola non ce l’avevano mai detto.
Io ho provato invece a comporre una polifonia di tante lingue e di tante voci presentando lettere e altri scritti di soldati Francesi, Inglesi, Tedeschi, Romeni e anche Indiani, oltre naturalmente agli Italiani. Non sono molti, se si pensa al numero dei paesi in guerra, ma fare di più non sarebbe stato facile per un uomo della mia età.
Le situazioni e i sentimenti presenti nella corrispondenza dei soldati di tanti popoli sono quasi sempre gli stessi: l’adesione e il rifiuto della guerra, l’orrore e la noia dei lunghi periodi di inattività, il rimpianto di casa e il piacere inatteso del viaggio, lo scherzo e il pianto, l’opportunismo e l’altruismo. Risuona continuamente l’aspirazione alla pace... ma qualche volta anche il desiderio di menare le mani!
Ecco una piccola antologia.

1
Italiani
Un caporale bresciano, che morirà sul Carso nel 1916, scrive alla moglie l’8 ottobre 1915:

… non puoi immaginare il dolore che provo nel mio cuore, però, già che ai piacere a sapere dove sono, te lo dico, che mi ritrovo in tera tedesca, nele trincee imeso (in mezzo) ai tuoni del canone e ale balotole del fucile, imeso alla neve. Fa molto fredo, cara la mia buona Lucia. Tante volte mi toca a piangere del dolore che provo nel mio cuore. Mi toca dormire per tera come le bestie, forse pegio, perché loro dormono nela stala al siuto (all’asciutto), e noi invece a laria (all’aria) libera con un po’ di paglia…

2
Inglesi
Tra gli inglesi, Marmaduke Walkinton, che si firma Leslie, racconta alla famiglia il suo strano Natale del 1914. Episodi simili, di “fraternizzazione” tra nemici, non sono stati rari sui diversi fronti:

Miei cari papà, mamma e ragazze – Solo una riga per farvi sapere che ho passato bene il Natale e che è stato di un tipo del tutto nuovo. Ci credereste che per accordo reciproco il nostro battaglione e quello Tedesco di fronte hanno fatto un piccolo armistizio e non hanno tirato un colpo in tutta la giornata? Ci siamo incontrati tra di noi e abbiamo chiacchierato a metà strada tra le linee delle due trincee e ci siamo scambiati distintivi, sigari e sigarette. Era davvero strano vedere gli odiati antagonisti stare in gruppo, ridere e parlare e stringere le mani. Naturalmente non abbiamo parlato di chi avrebbe vinto o di altre cose delicate come questa. Avevano appena saputo che i tedeschi avevano preso Buckingham Palace. I loro vestiti non erano granché; sembravano un po’ invidiosi delle nostre giacche di pelle di capra. Con grandissimo affetto, buon Anno Nuovo, Leslie.

3
Tedeschi
Il granatiere “riservista sostituto” tedesco Heiner Donner, di Stoccarda, racconta alla moglie l’avanzata vittoriosa dopo Caporetto giù verso il Piave alla quale ha preso parte. Ma premette una descrizione del suo miserevole stato di salute, e le ricorda di aver fatto richiesta di essere rispedito a casa, che è la cosa che gli interessa di più, ma teme molto che non sia accolta (al Ministero non sono ben disposti):

Mia dolce, cara Paula,
oggi è domenica e siamo a riposo. Da voi sarà una giornata di novembre, qui in Italia il sole ride da un cielo azzurro senza nuvole come da noi in piena estate. Non dimenticherò mai le magnifiche visioni che erano davanti e me, soprattutto le Alpi davanti a miei occhi. Peccato che il godimento sia pregiudicato dal peso dello zaino. Adesso sto per riposarmi di nuovo. Le fatiche disumane di ottobre mi hanno fatto dimagrire fino a diventare uno scheletro. Adesso quasi ogni giorno si fa un gran macello, e vorrei che tu, caro tesoro, potessi essere una volta con noi per vedere. Quanto al bere, ci atteniamo strettamente al vino, che qui c’è in abbondanza. Quindi non ci lamentiamo della mancanza di niente. Ma nonostante tutto, cara Paolina, vorrei venire da te. La richiesta, come sai, è già andata al Ministero, ma non so se di lì è stata accolta ed è andata avanti, i reclami vengono trattati oggi molto male.
Segue la descrizione della battaglia di Caporetto, della rotta degli Italiani fino al suo arrivo a Conegliano, de dove scrive. Ricorda anche che molti suoi commilitoni sono ammalati, altri sono stati condannati per saccheggio durante l’avanzata, e verosimilmente incarcerati, cosicché, scrive, i ranghi del suo reparto sono ridotti.

4
Romeni
I soldati romeni compongono dei loro canti popolari in versi e li mandano poi come lettere ai familiari. Quella che segue è opera di un cantore popolare, Vasile Tomuţ, soldato anche lui nella Grande Guerra, inquadrato nell’esercito austro-ungarico, mentre i romeni del regno combattevano con gli alleati. Questo testo eccezionale mi è stato fornito dall’amico prof. Dan Octavian Cepraga, che lo ha anche tradotto in italiano:

Fogliolina e un rametto,
cara moglie mia,
ti voglio domandare:
la Pasqua come l’hai passata?
Noi l’abbiamo trascorsa bene,
in trincea e in prima linea,
invece del pane santo,
ho una baionetta aguzza,
invece di uova dipinte,
ho pallottole avvelenate,
voi ne avete a decine,
io ne ho a centinaia,
voi con le uova belle,
noi col piombo e con gli shrapnel,
voi con le uova a benedire,
noi col piombo a prendere la mira.
voi dite Cristo è risorto,
noi coi russi ci scanniamo,
voi siete tutti insieme,
qui i feriti si lamentano.
voi bevete e mangiate,
noi sui Carpazi versiamo il sangue,
voi tutti con la camicia nuova,
noi con la vita spezzata in due.
voi con le scarpe nuove,
da noi i proiettili a sciami,
l’ostia non abbiamo mangiato,
abbiamo solo sparato,
al pane non ci pensiamo,
speranza non abbiamo,
solo proiettili ci danno,
più di quanti ne vogliamo.
Così l’abbiamo trascorsa noi
una bella Pasqua, non come la vostra.

5
Indiani
Un Musulmano dell’India meridionale, che ha combattuto con gli Inglesi sul fronte occidentale, scrive a un amico il 9 febbraio 1915, mentre si trova a bordo di una nave ospedale:

La guerra è una calamità nei tre mondi [saranno terra, aria e acqua] e mi ha fatto attraversare i mari e vivere qui. Il freddo è così forte che non si può descrivere. La neve cade notte e giorno e forma uno strato di due piedi sopra la terra. Non vediamo il sole da quattro mesi. Così siamo sacrificati. Di notte non riesco a dormire e di giorno non riesco a stare tranquillo. Al mondo non deve esserci mai stata una guerra così prima e non ci sarà dopo. È triste che Dio, che è così potente e che ha mandato il diluvio, abbia voluto che ci fosse un giorno così. Gli ha dato [ai tedeschi] uno spirito che non si può descrivere. Li ha fatti volatili dell’aria, draghi della terra e coccodrilli velenosi del mare. E li ha fatti capaci, quando incontriamo le loro subdole baionette, di dar fuoco a una certa sostanza chimica che forma un vapore asfissiante, e poi attaccano. Come posso descriverlo? Non succederà mai più al mondo una cosa simile, un confronto tra sette e dieci forze. Prima sentivamo dire spesso che in guerra tiravano coi cannoni da sette o otto miglia e attaccavano dalla stessa distanza, ma in questa guerra moderna combattono a 100 o 150 iarde e non di più. Se la guerra è diventata come tirare sassi, perché non dovrebbe esserci un nuovo diluvio? Se Iddio mi permetterà di rivedere i miei, mi sembrerà una nuova vita.

Attenzione. Da queste lettere non siamo autorizzati a ricavare nessuna generalizzazione sui relativi popoli. Basta dire che in Italia le lettere e cartoline trattate dalla posta militare sono state quasi 5 miliardi, nell’Impero Britannico 6,2, in Francia 10, in Germania più di 28. Miliardi, sottolineo, non milioni! Non dico che per farsi un’idea dell’animo dei soldati di un paese si dovrebbe leggerle tutte, ma solo che la loro quantità iperbolica invita alla prudenza nel tirare le conclusioni. Ma altre fonti più sicure sulla vita e lo spirito dei soldati di cui noi siamo i nipoti o i bisnipoti non ne abbiamo.

Fonti
La lettera italiana proviene da Isonzo infame. Soldati bresciani nella guerra ’15-’18, Brescia, Ed. del Moretto, 1983, cit. in Breccia, L’Italia va in trincea, Bologna 2015. Quella inglese dal sito Internet Voices of the First World War: News From The Front, e mi è stata segnalata dalla dott. Silvia Rossi.
Quella del tedesco Heiner Donner si trova nel sito della Museumstiftung Post und Telekommunikation di Berlino.
La lettera romena in versi di Vasile Tomuţ proviene dal suo quaderno che è stato pubblicato dal grande folclorista ed etnomusicologo Constantin Brăiloiu nel 1944. La lettera indiana è stata tradotta da Indian Voices of the Great War: Soldiers' Letters: 1914-1918, selected and introduced by David Omissi, New York, 1996.